BRASILE / Giorni 11 – 13: SALVADOR DO BAHIA

Tag: Pelourinho, chiese, San Benedetto il Moro, Orisha, spiagge

Salvador do Bahia è un’istituzione: è forse la città brasiliana con il carnevale più strabiliante, nonché quella che più risente dell’influsso della cultura degli schiavi africani. È la città della capoeira, l’arte marziale danzata inventata dai discendenti degli africani per allenare i propri muscoli senza venire sanzionati dai padroni, ed è l’epicentro di una gastronomia differente da quella del resto del paese. È anche stata, fino al trasferimento della corte a Rio de Janeiro ad inizio Ottocento, la città più importante e florida del paese: eredità, questa, percepibile nelle chiese. Allo stesso tempo, Salvador do Bahia è una città affacciata sul mare che vanta diverse spiagge paradisiache a portata di autobus urbano.

Il cuore della Salvador turistica si trova nel quartiere di Pelourinho. Patrimonio dell’Unesco, il piacevole quartiere storico di Salvador si trova nella città “alta” e deve il suo nome al palo cui venivano legati gli schiavi fuggitivi che venivano catturati e quindi fustigati, impiccati o rivenduti. Oggi, Pelourinho è un quartiere fatto di bassi edifici dalle facciate colorate che ospitano piccoli “atelier” e ristoranti turistici. In questa bolla turistica è piacevole e rassicurante camminare: l’atmosfera è allietata dai musicisti di strada, da alcune figuranti vestite in abiti tradizionali, dai ballerini di capoeira che si esibiscono in piazza e dalle esibizioni delle scuole di samba che, la sera, si scatenano talvolta in lunghe sedute di percussioni. Sono inoltre disponibili varie “agenzie” che promettono di organizzare escursioni.

I punti di maggior interesse di Pelourinho, che si visita comunque in poche ore, sono però probabilmente le chiese. La chiesa di San Francesco, e l’annesso convento, sono le strutture architettonicamente più notevoli e genuinamente ‘portoghesi’: oltre ad avere una facciata d’impatto, l’interno del convento ospita un chiostro e diversi altri ambienti ricoperti di maioliche in stile portoghese. La chiesa che però è ancora più interessante, se non altro per la storia che rappresenta, è la “Church of the Third Order of Our Lady of the Rosary of the Black People” (non saprei come tradurlo in italiano). La Igreja Nossa Senhora do Rosário dos Pretos, per usare il nome originale portoghese, è infatti la prima chiesta costruita a Salvador dai discendenti degli schiavi africani: edificata da una confraternita, con il lavoro volontario degli stessi fedeli ed un cantiere durato oltre un secolo, fu il primo luogo di culto non solo aperto ai neri (cosa non banale: per secoli l’accesso alle chiese fu interdetto agli schiavi; successivamente, gli fu concesso occupare degli altari laterali) ma addirittura costruito e gestito integralmente da essi. Lo spazio, costruito su due piani, contiene ancora le tracce dell’attività di mutuo aiuto svolta della confraternita: il piano superiore, infatti, è dedicato alle cucine e agli spazi per il ricovero dei bisognosi. La cosa che più colpisce, però, è forse il piccolo pantheon contenuto in una delle due vetrinette esposte in sagrestia: un pantheon “parallelo” fatto quasi interamente di santi cristiani (o aspiranti tali) con la pelle scura.

La figura probabilmente di spicco, in questo pantheon costruito sul bisogno di potersi davvero identificare e di costruire un’identità positiva “nera”, è San Benedetto il Moro: un santo francescano figlio di schiavi, rappresentato tipicamente con il bambin Gesù (bianco) in braccio. Elemento “curioso”, il santo nero figlio di schiavi e per questo considerato il “patrono” degli afro-brasiliani è in realtà “italiano”: visse infatti nel 1500 in Sicilia, dove i suoi genitori erano stati portati in qualità di schiavi, e le sue reliquie sono conservate tra la provincia di Messina e Palermo. Tra le sante rappresentate in questo pantheon, meritano invece una menzione anche le statuette di Sara la Kali, “Sara la nera”, venerata come santa in particolare dalle comunità Gitane della Camargue (la cui origine mitica si perde, a seconda delle leggende, nell’Alto Egitto o addirittura in India), e la Schiava Anastasia, altra figura non ufficialmente santificata ma oggetto di grande venerazione popolare: una giovane schiava vissuta nel ‘700 rappresentata con una maschera di ferro in volto a simboleggiare le vessazioni subite per aver rifiutato strenuamente le avance del suo padrone.

Nel pantheon parallelo esposto della chiesa di Nossa Senhora do Rosário dos Pretos (ed attentamente costruito, nei secoli, dal clero locale) sono evidenti gli sforzi della comunità di origine africana per conservare, mescolare e ricostruire quella cultura di origine da cui i loro antenati furono violentemente asportati. Questo aspetto, anche se attualmente invisibile in superficie, è un tratto caratteristico di Salvador che fu l’epicentro della tratta degli schiavi: un altro esempio illuminante, in questo senso, è costituito dal Candomblé. Il Candomblé, una religione di origine africana diffusa in Brasile ed in particolare nella zona di Bahia, ha infatti al proprio centro la venerazione di un complesso pantheon di spiriti chiamati Orisha. Spesso, nel tentativo di integrare questi culti africani nella religione ufficiale, questi spiriti furono fatti identificare con santi o figure riconducibili alla tradizione cristiana. Degli Orisha, del Candomblé e delle origini africane di molta cultura materiale e iconografica brasiliana, tratta – seppur sommariamente – il piccolo Museo Afro-Brasiliano di Pelourinho.

Oltre a Pelourinho (ed al vicino Carmo), la nostra visita di Salvador ha compreso due zone che – al contrario di Pelourinho – si trovano sulla costa: Barra e Praca. Barra è una piccola ma molto bella spiaggia che sorge nei pressi della città, poco distante da Pelourinho (ci si arriva con l’autobus o in pochi minuti di Taxi). E’ una zona dedicata al turismo di mare, con i tipici chioschi da cui gli addetti governano un piccolo numero di ombrelloni affittabili tranquillamente ad ore, che sorge nei pressi di alcuni antichi fortini portoghesi. Alle spalle della spiaggia, ben frequentata, ci sono alcuni ristoranti che rendono l’atmosfera turistica e rilassata.

Abbastanza diverse sono invece le innumerevoli spiagge che si susseguono sulla costa a est di Salvador. La nostra scelta, anche alla luce delle indicazioni della guida, è caduta sul tratto di spiaggia che va da “Piata” a “Itapua”: ci siamo arrivati in autobus da Pelourinho (il tragitto è durato quasi un’ora, senza cambi), e ci siamo rimasti tranquillamente un’intera giornata. L’acqua, anche in questa stagione e grazie al fondale basso, è tiepida: qui è tranquillamente possibile fare il bagno, o assistere all’arrivo a costa dei pescatori con le reti cariche di pesci agonizzanti. La zona è tuttavia un più isolata e meno frequentata rispetto a Barra, ed alle spalle della spiaggia – oltre a un’enorme strada litoranea – non c’è praticamente nulla: sembra senza dubbio ok noleggiare sedie e ombrellone presso una qualsiasi delle baracche che punteggiano la spiaggia, ma pare sia meno sicuro – almeno stando a quanto ci ha detto un venditore di bevande – avventurarsi da soli negli spazi meno battuti.

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